Superlavoro nei cantieri stradali
By Antonio Bernardi
Un mio cliente opera nel settore dei materiali inerti per le costruzioni. Tra le sue varie attività, è compresa anche la fornitura e posa in opera di asfalto, con noleggio “a caldo” di vibrofinitrice e operatore. Per chi non lo sapesse, la vibrofinitrice è il macchinario che stende il nastro d’asfalto.
Con l’arrivo della bella stagione, è facile notare per le strade una decisa ripresa dei lavori di asfaltatura: per la ditta in questione, senza dubbio un’ottima occasione di lavoro; e per l’operatore?
Qualche giorno fa, il Datore di Lavoro e il suo RSPP mi hanno convocato per un parere: “Ingegnere”, mi hanno detto, “quel povero cristo che lavora sulla vibrofinitrice si deve fare dei turni di lavoro massacranti: come possiamo tutelarlo? E come possiamo tutelare anche l’Azienda, dal punto di vista della normativa sulla sicurezza”?
Questa è un’ottima questione, per niente banale. Un operatore “noleggiato a caldo” sa quando inizia (di solito, al mattino molto presto), ma generalmente non quando finisce. Qualche volta, per piccoli lavori, gli basta una mezza giornata in cantiere, altre volte arriva a far notte: pensate, ad esempio, a lavori di asfaltatura condotti in punti critici della rete viaria, dove l’esigenza è quella di terminare il più presto possibile per evitare ripercussioni sulla circolazione. Spesso, poi, succede che un cliente telefoni in giornata per un lavoro urgente, ed il povero operatore, che magari ha appena finito un servizio di cantiere, deve prendere armi e bagagli, e correre dove il dovere chiama.
Alla fine dei conti, quale che sia la combinazione di situazioni prese a riferimento, sulla groppa dell’operatore pesano 12-16 ore di lavoro. Per un giorno, per il successivo, e per quello dopo ancora. È indubbio che il sovraccarico di lavoro sia troppo gravoso, e la salute dell’operatore è soggetta a rischi di notevole entità, a meno che non si prendano delle contromisure.
I rischi
I rischi legati al superlavoro possono manifestarsi a breve e a lungo termine. I rischi a lungo termine sono legati all’usura fisica, pertanto al prolungato riproporsi delle condizioni di superlavoro. L’aumento di rischi all’apparato cardiocircolatorio è la conseguenza più probabile, e anche lo sviluppo di patologie da stress (ansia, ipertensione, etc.) è un possibile esito.
A breve termine, le conseguenze sono legate per lo più alla difficoltà di “ricaricare le batterie” tra un turno di lavoro e l’altro, a causa dei tempi di riposo che risultano compressi. Un lavoratore poco riposato presenta un notevole calo dell’attenzione e un rallentamento dei riflessi. Di fatto, la carenza di sonno ne fa un possibile zombie che potrebbe non reagire adeguatamente in caso di emergenza, oppure causare incidenti (si pensi, ad esempio, ai classici “colpi di sonno” alla guida).
Vediamo così che, mentre i rischi a lungo termine insistono sulla salute del lavoratore, quelli a breve rischiano di coinvolgere anche altre persone, e potenzialmente in modo assai grave. Il nostro lavoratore, stanco per la lunga giornata di lavoro, dopo una settimana di turni massacranti, magari a temperature africane, riporta il mezzo alla sede aziendale e provoca un incidente stradale. Come possiamo tutelarlo?
La prevenzione
Prima di tutto, il Datore di Lavoro che ha identificato il rischio deve cercare delle soluzioni organizzative (prevenzione): siamo sicuri che tutti i lavori siano urgenti, che tutti i lavori devono essere portati a termine in giornata, che non si possano in qualche modo programmare? Se la risposta è sempre negativa, egli cercherà di proteggere il lavoratore.
Bisogna distinguere le situazioni di superlavoro in occasionali e croniche. Infatti, sono soprattutto queste ultime a rappresentare un problema. Un singolo episodio di superlavoro può essere recuperato facilmente dal lavoratore nei giorni successivi: si potrà eventualmente istruire l’operatore a prendere qualche minuto di riposo e di relax prima di mettersi alla guida al termine del proprio turno, come anche suggerirgli di farsi riaccompagnare qualora avvertisse una stanchezza eccessiva.
Il problema è distinguere la situazione occasionale da quella cronica. Non ho dati scientifici a disposizione: sulla base della mia esperienza, costruita anche con il dialogo ed il confronto con datori di lavoro e lavoratori, ritengo che si possa fissare un tetto da non superare, pari a 60 ore settimanali. Oltre tale limite, l’azienda deve imporre al lavoratore un turno di riposo. Significa che:
- se il lavoratore fa 12 ore al giorno per cinque giorni consecutivi, al sesto deve riposare (teniamo presente che in questo genere di attività si opera solitamente anche al sabato);
- se il lavoratore ha lavorato per 15 ore a giorno, il riposo scatta dopo quattro giorni.
Credo anche che l’azienda dovrebbe preoccuparsi di accompagnare a casa il lavoratore a fine turno, comunque, già dal terzo giorno consecutivo di straordinario, almeno per tragitti superiori ai 10-15 km. Ai datori di lavoro che stanno già pensando all’incidenza di questi costi aggiuntivi, suggerisco di considerare i costi legati ad un eventuale incidente…
Documentare le proprie scelte
Pensiamo anche agli aspetti formali della faccenda. Se questo tipo di rischio è presente in azienda, se qualcuno - leggendo queste righe - ha pensato: “…In effetti, anch’io…”, allora è bene integrare il proprio Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). Il DVR va aggiornato con la collaborazione del Medico Competente, e dopo aver consultato il Rappresentante dei Lavoratori.
Dal documento, dovranno emergere le azioni di prevenzione/protezione intraprese o da intraprendere. Traduco: si deve preparare una tabellina con scritto chi fa cosa, quando, quanto costerà, e chi va a controllare alla scadenza fissata.
Gli operatori interessati andranno informati e formati. Traduco ancora: al lavoratore bisogna dire chiaramente cosa rischia e perché, e gli si deve anche spiegare (magari con una breve istruzione scritta) cosa il suo Datore di Lavoro ha deciso debba essere fatto, situazione per situazione.
Per finire
Forse è un caso, ma non lo credo: questo problema è stato sollevato dalla Direzione di una azienda che sta implementando un sistema di gestione della sicurezza sul lavoro.
Al di là degli aspetti formali e formalistici di tali sistemi, e del carico burocratico che inevitabilmente si trascinano dietro, per me è innegabile che essi costringono a ripensare continuamente la sicurezza, a renderla una variabile di sistema e non più un semplice onere burocratico. Quante sono le ditte, con il DVR nel cassetto, che si sono poste il problema? C’è qualche mano alzata?