Criticità del modello di valutazione dello stato delle coperture in cemento amianto
By Antonio Bernardi
Lo schema di calcolo utilizzato per la valutazione dello stato delle coperture in cemento amianto è descritto nella DGR n. 265 del 15/03/2011 emanata dalla Regione Veneto (si veda l’articolo pubblicato nel 2011).
Detto schema si rifà ad un analogo lavoro pubblicato dalla Regione Lombardia nel 2008, che viene citato nel documento veneto.
L’algoritmo prevede di assegnare dei valori numerici ad alcuni parametri, e di comporre tali valori fino ad ottenere un risultato numerico che identifica lo stato di degrado del materiale, chiamato Indice di Degrado (ID).
In base al valore di ID, saranno disponibili tre azioni: il monitoraggio, la bonifica entro i 12 mesi, la bonifica entro i tre anni.
È bene premettere che tale rosa di azioni non costituisce un vincolo normativo, in quanto l’unica normativa vigente è costituita dal Decreto del Ministero della Salute del 9 settembre 1994 (Supplemento ordinario n. 156 alla Gazzetta Ufficiale n. 288 del 10 dicembre 1994): il risultato del calcolo fornisce un utile indirizzo al detentore della copertura in cemento amianto circa le azioni possibili. Va detto, per completezza, che il detentore inerte rischia di dover rispondere di eventuali danni attribuibili alla propria inerzia, e un valore di ID elevato costituisce aggravante di rischio (vale a dire: se per anni non hai fatto niente, e ti era stato detto di bonificare, quando il tuo vicino si prende il mesotelioma difficilmente potrai ritenerti incolpevole).
Ora, arriviamo all’oggetto del titolo. L’esperienza pratica accumulata sul campo ha permesso di evidenziare una importante criticità del modello: il parametro di calcolo determinante, legato all’invecchiamento del materiale, non tiene conto del trascorrere del tempo.
Pare un paradosso, ma è proprio così. Dimostriamolo.
Il valore numerico da attribuire alla vetustà (l’unico valore moltiplicativo nella formula di calcolo) dipende dalla data di installazione della copertura, non da quanto tempo è passato dopo quella data: la scelta possibile è fra tre opzioni, a seconda che la posa della copertura sia avvenuta prima del 1980, dopo il 1990 o nel decennio a cavallo tra i due anni. Quindi fornirà lo stesso valore sia se eseguiamo un esame nel 2021, sia se lo eseguiamo nel 2121.
Gli altri coefficienti della formula tengono conto dello stato fisico della copertura, della presenza di recettori sensibili nelle vicinanze e di impianti di ventilazione (che comportano anche interventi di manutenzione, pertanto possibili danneggiamenti delle coperture). Questi coefficienti vanno sommati tra loro, e il risultato della somma va moltiplicato, alla fine, per il fattore di vetustà. Si comprende pertanto l’importanza di quest’ultimo fattore, e di come il criterio attuale non permetta di adeguare l’esito della valutazione al trascorrere del tempo.
Ammesso, infatti, che la situazione dello stato della copertura non cambi tra una verifica e la successiva (plausibile, la DGR impone di rifarla almeno ogni due anni), il calcolo fatto nel 2011 e quello fatto nel 2021 possono teoricamente restituire lo stesso risultato (e spesso, nella pratica, lo fanno): questo succede perché non si può in alcun modo tener conto del decennio trascorso, dovendo basare la scelta dell’ultimo fattore solo sull’anno di costruzione, e non sul tempo passato da quella data.
Ciò contribuisce a creare incertezza sia tra i proprietari di coperture in cemento amianto, sia tra chi deve vigilare sulla salute pubblica. Ad esempio, si prendano in considerazione due privati, proprietari di due costruzioni adiacenti realizzate nello stesso anno. Salvo avvenimenti accidentali (ad esempio, un danno provocato da un urto), entrambi calcoleranno un identico valore dell’indice di degrado ID. Ipoteticamente, poniamo il caso che il risultato fornisca l’indicazione di bonificare entro 36 mesi, e ipotizziamo che solo uno dei due proprietari abbia eseguito la valutazione. Se il secondo proprietario eseguirà il calcolo a distanza di due-tre anni dal primo, si troverà a sua volta vincolato alla necessità di bonificare la propria copertura entro 36 mesi; tuttavia, avrà “guadagnato” due-tre anni di tempo in più rispetto al primo proprietario, con evidente beneficio economico.
Un secondo esempio riguarda l’evoluzione del risultato durante i monitoraggi periodici. Siccome il degrado del materiale non aumenta sensibilmente col passare del tempo, è possibile (e - anzi - probabile) che due successive valutazioni porgano lo stesso risultato. E un bel giorno, il Comune di * * * telefonerà scandalizzato, insinuando il dubbio della malafede del tecnico che ha realizzato la verifica, perché “…se tre anni fa la copertura risultava da bonificare, com’è possibile oggi che il proprietario abbia altri tre anni per eseguire l’operazione”?
È possibile, la formula ha i suoi limiti.